“Davanti a questo moribondo nudo si sono commosse le mie viscere. Mi sento un vuoto in petto, una confusione di tenerezza, uno spasmo di compassione. Ho messo la mano sui suoi piedi, per riscaldarli”
da La natura Esposta di Erri De Luca
Rare sono le immagini che ritraggono la sofferenza di Cristo negli ultimi istanti della sua esistenza terrena. Ancora più poche le opere, pittoriche o scultoree, che rappresentano un corpo ormai senza vita in maniera realistica. I lineamenti delle sculture o delle immagini di Cristo morto sono quasi sempre rilassati, artificiosi, troppo composti per raffigurare un uomo seviziato e inchiodato su una croce. Ma nel cuore di Napoli, precisamente nel Santuario della Madonna del Carmine a piazza Mercato, troviamo una magnifica opera scultorea; un crocifisso che raffigura un Gesù ormai senza vita. Nel suo volto le contrazioni del dolore, la sofferenza della flagellazione, l’amarezza della morte che lo avvolge. Il suo capo è chino e ha la bocca semiaperta dove è possibile vedere la lingua, rotolata in avanti tra le mascelle ormai senza più resistenze. È un uomo sofferente, le cui forze sono state prosciugate da ore di sevizie.

Per tutti i napoletani è il Cristo miracoloso, i suoi “prodigi” risalgono al XV secolo quando Napoli era contesa dagli Angioini e Aragonesi. Renato d’Angiò aveva posizionato l’artiglieria sul campanile del Santuario del Carmine mentre gli Aragonesi, guidati da Alfonso, si accamparono sulle rive del leggendario fiume Sebeto (Borgo Loreto). Pietro di Castiglia per spingere gli angioini alla resa fece bombardare la chiesa con una grossa e terribile


di Lisa Terranova