Il crocifisso miracoloso del Carmine, l’opera napoletana

“Davanti a questo moribondo nudo si sono commosse le mie viscere. Mi sento un vuoto in petto, una confusione di tenerezza, uno spasmo di compassione. Ho messo la mano sui suoi piedi, per riscaldarli”
da La natura Esposta di Erri De Luca

Rare sono le immagini che ritraggono la sofferenza di Cristo negli ultimi istanti della sua esistenza terrena. Ancora più poche le opere, pittoriche o scultoree, che rappresentano un corpo ormai senza vita in maniera realistica. I lineamenti delle sculture o delle immagini di Cristo morto sono quasi sempre rilassati, artificiosi, troppo composti per raffigurare un uomo seviziato e inchiodato su una croce. Ma nel cuore di Napoli, precisamente nel Santuario della Madonna del Carmine a piazza Mercato, troviamo una magnifica opera scultorea; un crocifisso che raffigura un Gesù ormai senza vita. Nel suo volto le contrazioni del dolore, la sofferenza della flagellazione, l’amarezza della morte che lo avvolge. Il suo capo è chino e ha la bocca semiaperta dove è possibile vedere la lingua, rotolata in avanti tra le mascelle ormai senza più resistenze. È un uomo sofferente, le cui forze sono state prosciugate da ore di sevizie.

Per tutti i napoletani è il Cristo miracoloso, i suoi “prodigi” risalgono al XV secolo quando Napoli era contesa dagli Angioini e Aragonesi. Renato d’Angiò aveva posizionato l’artiglieria sul campanile del Santuario del Carmine mentre gli Aragonesi, guidati da Alfonso, si accamparono sulle rive del leggendario fiume Sebeto (Borgo Loreto). Pietro di Castiglia per spingere gli angioini alla resa fece bombardare la chiesa con una grossa e terribile

“messinese”. La palla di cannone colpì l’abside e nel momento di colpire il crocifisso, la statua di Gesù chinò il capo per schivarla. Il giorno seguente, nonostante il “miracolo” l’infante ordinò nuovamente di bombardare il santuario, questa volta però la palla di cannone troncò la testa di Gesù. Re Alfonso fu costretto a togliere l’assedio, ma quando rientrò poco dopo in città conquistandola definitivamente cercò di rimediare al sacrilegio compiuto dal fratello facendo costruire un prezioso tabernacolo. Dopo la sua morte il crocifisso fu esposto per la prima volta nella magnifica edicola votiva il 26 dicembre del 1459. Da allora nel giorno di Santo Stefano fino al 2 gennaio, l’opera viene esposta al pubblico. La bellissima scultura nei secoli è stata esposta anche durante le calamità naturali ed epidemie. Anche nel marzo 2020, infatti, durante la terribile pandemia di coronavirus i carmelitani, eccezionalmente, hanno issato sull’altare maggiore il crocifisso. Tra i vicoli che accerchiano la storica piazza, da tempo immemore, corrono sulla bocca dei napoletani alcune leggende che aleggiano intorno al misterioso Gesù, ma questa è un’altra storia.

di Lisa Terranova