fonte foto profilo fb dante&descartes
I libri rappresentano una finestra sul mondo della psiche umana, dare ai personaggi un contorno e delle sfumature particolari rende l’opera gradevole ai lettori che hanno deciso di leggere il romanzo, e in questo l’architetta Emma de Franciscis è stata molto brava nella sua opera “L’uomo che attraversò tre secoli”. Una storia familiare nata dall’ingegno della de Franciscis e che proietta i lettori in un’antica dimora situata tra le colline abruzzesi. “L’uomo che attraversò tre secoli” è un romanzo edito dalla casa editrice Dante&Descartes diretta dallo storico libraio di Mezzocannone Raimondo Di Maio. Nelle pagine setose e ben impaginate si racconta la vita del longevo Costanzo de Sanctis vissuto fino a 140 anni. Spiccano nel racconto due figure illuminate e centrali: la mamma di Costì e il nonno paterno Arturo, sono loro due a rompere le arrugginite tradizioni familiari. Maria Carolina dà alla luce nonnissimo nel 1879, ed è sempre lei ad opporsi ad Albenice, l’austera madre del suocero che impone sui nipoti e pro nipoti le sue vetuste decisioni, legate ad usanze e tradizioni familiari ormai obsolete. La giovane, con il supporto dei suoceri, porta una ventata di modernità tra i corridoi del palazzo nobiliare e cresce Costanzo e gli altri figli nelle comodità della modernità che arrivano col ‘900. Custode contemporanea della storia ultracentenaria è la piccola Nina pronipote di Costanzo. La bimba tra i corridoi dei grandi appartamenti romani, acquistati dal suo avo Arturo, attraverso i racconti delle zie riesce a collegare trame e fili di una famiglia che ama ed è amata. Legami affettivi saldi che stonano davanti agli affannosi e controversi rapporti familiari che oggi siamo abituati a vivere. A spiegare i retroscena di una trama coinvolgente la scrittrice Emma de Franciscis.
L’uomo che attraversò tre secoli, un romanzo familiare che rappresenta anche uno spaccato di storia, a chi si è ispirata per la creazione di questa vicenda lunga decenni?
La storia prende spunto da una frase di mio padre. Aveva
sentito dire che in mancanza di malattie l’essere umano può
raggiungere i 140 anni di età, e poiché suo nonno era morto
ultracentenario, lui, cresciuto in un periodo di progressi nel
campo medico, accarezzò l’idea di poter raggiungere quel
traguardo. A ogni compleanno si faceva il conto alla rovescia.
Con il passare degli anni diminuiva il suo “obiettivo”: passò a
centoventi anni, poi a cento, a novanta, e l’ultimo compleanno
commentò: Sono proprio tanti. Chi se lo aspettava di vivere
così a lungo! Nel romanzo I viaggi di Gulliver, il racconto dell’isola di
Luggnagg, dove gli uomini, gli struldburg, sono immortali ma
arrivati a ottanta anni vengono messi da parte e privati dei
propri beni, dove si parlano lingue in continua evoluzione e si
viene tagliati fuori anche dal conversare con gli altri, dove i
ricordi vanno sfocando, dove la longevità viene vista come una
condanna, è una lettura che ha solleticato la mia
immaginazione.
Nonnissimo è una figura amata e magica, che rapporti ha avuto
con i suoi nonni?
Io ho conosciuto il nonno paterno e la nonna materna, ma li ho
persi che ero ancora bambina. L’importanza dei nonni l’ho
capita in età matura, osservando il rapporto che hanno avuto i
miei figli con i miei genitori e con i genitori di mio marito.
È un rapporto speciale, bambini e anziani diventano complici, sono fragili, bisognosi di attenzioni, e chi è figlio e genitore deve curare entrambi allo stesso modo.
Albenice, Nives, Maria Carolina, Maria e Nina, cinque donne
espressioni delle epoche che hanno vissuto, con chi di loro si
identifica e perché?
A parte Albenice, il cui mondo non può essere compreso da chi
le è vicino perché fa riferimento o a un passato che solo lei
conosce o a un presente che esiste dentro di sé, in ogni altro
personaggio femminile ho messo qualcosa di me. A partire da
Maria Carolina, in cui ho trasferito la scelta mia e di mio
marito di chiamare nostro figlio col nome di mio padre,
decisione che abbiamo dovuto motivare con diplomazia per farla
gradire a mio suocero; per passare poi a Nives e Maria, la cui
serenità deriva dal vivere con consapevolezza l’essere donne,
madri e mogli; fino ad approdare a Nina, poco più giovane di
me. Il tempo in cui Nina si muove è anche il mio: lavoro,
famiglia, bisogno di ripartire dopo aver smesso di essere
figlia. “La prospettiva si è ribaltata, i miei figli sono il
futuro e io sono il passato”.
Maria Carolina è colei che ha sfidato usanze e tradizioni familiari arrugginite dal tempo, nella trama il suo personaggio fin dove poteva spingersi con le innovazioni e perché non lo ha fatto.
La caparbietà di Maria Carolina si è manifestata in forme
diverse, coerentemente con l’età. Da ragazza pretende e si
impone, noncurante delle conseguenze delle proprie azioni, col
tempo impara che talvolta può essere preferibile tacere, che
non significa rinunciare. È arrivata dove voleva, lavorando costantemente e in silenzio, facendo apparire i risultati a cui
è giunta come fatti del tutto ovvi e scontati. Ha fatto studiare i propri figli in una scuola e non a casa, ha sposato
in seconde nozze l’uomo di cui si era innamorata, ha lasciato
la detestata Torre sul Lago per trasferirsi a Roma, ha accolto
in casa la nuora Maria per poi farsi da parte e lasciare spazio
ai giovani sposi, e non ultimo è riuscita a tenere unita la sua
numerosissima famiglia, scrivendo non un testamento ma un
desiderio: “pregate per l’anima mia, ho bisogno di sapervi
uniti e in armonia”.
Maria Carolina e Arturo de Sanctis sono i personaggi “illuminati”, in futuro sarebbe favorevole alla creazione di un cameo centrato su uno dei due personaggi, entrambi simboli di rottura da un passato ormai vetusto?
Perché no? Sono personaggi che ho immaginato e che ho
caratterizzato nella personalità piuttosto che nell’aspetto
fisico, il quale volutamente è stato descritto in maniera
sommaria, per lasciare spazio al lettore. Dargli un volto, una
corporatura, sentirli parlare e vederli muoversi
significherebbe dargli una nuova e differente opportunità di
vivere.

di Lisa Terranova