Eccola Saveria con il suo “tuppo” e le sue generose rotondità, la sua pelle chiara, il suo naso aquilino e il suo immancabile filo di perle. Irruenta e combattiva odiava le ingiustizie e cercava in tutti i modi di sconfiggerle. Ma nonostante il suo carattere, all’apparenza indomabile, aveva un cuore d’oro. Sposata con Antonio, il “maggiore” reduce della prima guerra mondiale, era mamma di ben sette figli; tutti cresciuti ligi al dovere e dediti al credo cristiano. Abitava in un vicoletto nel cuore pulsante di un paese ai piedi del Monte Somma e poco distante dalla sua abitazione il marito insieme ai figli più grandi gestiva una bottega. Erano dei noti ramai. Non solo stagnavano pentole, ma si dedicavano anche alla realizzazione di nuovi utensili da cucina. Insomma il loro lavoro insieme alla loro fama prometteva prosperità e ricchezze per l’intera famiglia. Saveria aveva la dote di essere una brava massaia e un’ ottima cuoca, amava cucinare gustose pietanze. L’apice lo raggiungeva la domenica con il suo ragù. Il rito iniziava il venerdì sera, metteva a bollire quella carne tenera avvolta da vellutate passate di pomodoro. Ribolliva a fuoco lento quel boccone degli Dei sotto la supervisione della donna che stendeva un piccolo materasso accanto alla cucina a legna e di tanto in tanto durante le notti che precedevano la domenica si alzava e con il mestolo di legno rigirava il sugo. Da buona paesana naturalmente accanto a quell’enorme pentolone non poteva mancare il famoso “ruoto di capretto e patate”. Che delizie Saveria preparava alla sua famiglia la domenica, che ricchezza del palato metteva sulla sua tavola; perfino un Re avrebbe bussato alla sua porta per assaggiare quei cibi.
Ma fuori al suo uscio non c’era nessun uomo in abiti regali, l’odore di tutto quel ben di Dio si espandeva per l’intero vicoletto fino ad entrare nelle case delle famiglie più povere della strada, proprio quelle che a stento potevano mettere a tavola un tozzo di pane nei giorni feriali, figuriamoci la domenica quelle leccornie erano un sogno. Ma Saveria questo non lo poteva permettere, da casa sua non poteva solo uscire l’odore del ragù e del “capretto”, se lei mangiava dovevano farlo anche gli altri del vicolo. Così di buon mattino, nel santo giorno della settimana, Saveria riempiva i “ruoti “di rame con pezzi di ragù, agnello e patate e le distribuiva alle famiglie vicine. Tutti, come lei, dovevano mangiare. Questo andò avanti per un lungo periodo, il suo benessere veniva elargito a chi non riusciva a riempire le pentole, senza mai pretendere nulla in cambio. Ma la seconda terribile guerra bussò alle porte della sua casa portandosi via i suoi figli maggiori. Suo marito non poteva più continuare l’attività da solo tanto che fu costretto ad abbassare la saracinesca. La gente piangeva i morti e soffriva la fame. In poco tempo con la bottega chiusa e i figli in guerra con i piccoli da sfamare, Saveria perse quella stabilità economica che con tempo e fatica suo marito aveva creato. La povertà entrò anche nella loro casa. Scomparve dalla sua tavola il ragù, l’agnello e tutto il resto. Un giorno assorta nei suoi pensieri, triste per i figli lontani e per quelli da sfamare, passava davanti le sue vicine, sconsolata e malinconica accennava appena un formale saluto. A un tratto le donne, con ghigno velenoso, sentenziarono: <<E se capisce, Saveria vuleva fa a smargiassa che ‘e ruot e ragù e s’è appezzentuta>>. La donna sentì, abbassò lo sguardo e tirò dritto. La coltellata era arrivata proprio da chi per tante domeniche aveva sfamato.
di Lisa Terranova